Il turismo delle radici sta guadagnando sempre più interesse da parte delle istituzioni e degli operatori del settore turistico. Si tratta di un tipo di turismo che si concentra sull’esplorazione delle proprie radici culturali, storiche e sociali, incoraggiando i visitatori a scoprire il patrimonio storico e culturale di un territorio. La valorizzazione del patrimonio storico, culturale e paesaggistico del territorio è fondamentale per attrarre sempre più turisti interessati a scoprire le tradizioni e le radici di una comunità. Il turismo delle radici può rappresentare un motore di sviluppo locale, generando nuove opportunità occupazionali e valorizzando le risorse del territorio in modo sostenibile, identitario, esperienzialmente. Ogni condizione è utile per favorire economia e consolidamento dell’identità territoriale, fonte di interesse ma soprattutto di concreta sostenibilità e tutela del proprio territorio, del paesaggio e di ciò che in essi è connesso e connettibile. La politica però oltre blaterare e inventarsi slogan da scoop cinematografici fa ben poco, se non addirittura nulla per favorire integrazioni, progettualità, convincimenti. Il turismo di ritorno connesso a quello delle radici ha favorito lo stesso interesse che altre tipologie nel passato hanno sortito per poi rimanere ferme sulle linee di partenza di una pista mai corsa del tutto. Il turismo delle radici ha illuso sin da subito favorendo la nascita di comitati che nel nascere facevano i conti senza l’oste. Convegni, discussioni, incontri nel silenzio di stanze buie che non hanno mai visto la luce aprirsi alla finestra della razionale progettualità o verità che né oggi scaturita. L’anno del turismo delle radici è stato istituito dal Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale stabilendo che esso avesse inizio il 1^ gennaio 2024 e termine il 31 dicembre 2024, certificando la concreta possibilità di ritorni importanti anche per il 2025, anno del Giubileo.
Una previsione che sta fallendo senza appello grazie a un Bando che ha visto premiare, per modo di dire, circa 800 comuni italiani, con una dazione di circa 6.000 euro a testa. Questa somma dovrebbe garantire sagre, concerti bandistici, manifestazioni folkloriche, studi genealogici, accoglienza, spot e altre miriadi di azioni culturali. Per razionalizzare e coordinare tali interventi il Ministero da nominato dei coordinatori regionali e agenzie vincitrici di appalti dando loro una dotazione finanziaria di poco più di 200.000 euro spendibili in convegnistica, spot, accompagno ai progetti, accoglienza, assunzioni di personale e altre miriadi di impegni. Nel frattempo più di qualche vincitrice del bando ha mollato la presa e si è dileguata nel convincimento realistico dell’esiguità della misura. Anche il profilato ampliamento della dotazione finanziaria non ha condizionato la desistenza al progetto. “Quasi fosse una questione di vita o di morte”, titola una riflessione di Publio Valerio Publicola, sul confuso e combattuto bando che ha stanziato soli 4 milioni di euro sui 20 stabiliti. Da tempo associazioni si sono costituite e presentato progetti pressoché identici per contenuto e titoli. Chi ha vinto ha visto cedere il passo a aggregazioni di 3 università, ANCI, Confcommercio, Federalberghi, Soprintendenza nonché addirittura Regioni con tanto di avvallo presidenziale nonostante il turismo sia materia di competenza regionale. Si continua a parlare di un bacino di 80 milioni di persone che potrebbero venire a conoscere i propri antenati, la propria patria e non certo nel periodo delle vacanze. Una fantasia che sa di catastrofe se sol si pensa che dalla II^ generazione in poi delle radici non interessa che al solo 3% degli ottanta milioni di NON PIU’ ITALIANI ALL’ESTERO. Sarebbe stato meglio avviare un vero rapporto con ambasciate, associazioni di Italiani all’estero, pagare loro il biglietto per le patrie del tempo passato e sperare di garantirsi almeno l’acquisto di qualche rudere da ristrutturare. Invece come spesso e volentieri accade, si suona la tromba e il fiato è lasciato alla volontà di sindaci che sempre più sono lasciati soli a combattere con i mulini a vento. Ma in Molise cosa accade? Quello che accade in Abruzzo, nella Marche, in Sicilia, in Calabria. Nulla di diverso se non fosse per la capacità di spesa e di progettualità capace di attrarre fondi che è decisamente minore per vari motivi che non stiamo a elencare anche per evitare confronti con realtà decisamente più attive e che nel tempo hanno saputo costruire tesoretti ben più cospicui e generanti vere opportunità di sviluppo. Sicuramente l’analisi sarà smentita da numeri di cui non conosciamo entità e valore e questo non può che portare dato le nostre povere conoscenze, una sorta di ritrovata tranquillità. Un dato però è certo, per i servizi, nonostante ci si avvicini alla stagione estiva, la filiera del turismo, in tema di opportunità lavorative, vede segnare una diminuzione del 13,3% mentre in altri settori la ripresa è lieve ma costante.
di Maurizio VARRIANO
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