Il Molise che insegue l'Abruzzo. La persistente lamentela compresa solo da chi la predica - Molise Web giornale online molisano
Venerdì - 26 Aprile 2024

Il Molise che insegue l'Abruzzo. La persistente lamentela compresa solo da chi la predica

Si vorrebbe capire di più ma i vocabolari, poiché fatti sparire dalle librerie, permettono il coniare termini e numeri dall’effimero contesto.

“Chi la vo cotta e chi la vo cruda” ma tutti la vogliono e tutti se ne sentono padroni. Il dialogo viene meno, anche per posizioni che della democrazia hanno solo il sapore di chi muore. Si sciorinano lessico e nuvole e della partecipazione se ne fan banchetti dalla sparuta presenza e dalla penna che manca di inchiostro. In Molise il dialogo lo si fa sui giornali e non nelle piazze e gli opinionisti arrembano navi di pirati della politica al grido “Salviamo il soldato e il suo forziere.” La politica diventa così sempre meno attraente, meno partecipativa, solitaria e per pochi, soprattutto per chi da essa ha ottenuto cariche, visibilità e lauti guadagni. Tutti ne parlano male ma tutti, nel male dell’arrogante vociare che nell’etere spande le parole sacre di chi si sente Adone: “quello che dico Io è legge, quello che dici tu è mero interesse”, non considerano che la volontà popolare non si misura con le parole scritte sui giornali o con slogan da banchetto atto alla vendita dell’ottima “Scapecia”, ma con un vero e proprio referendum che ponga considerazioni globali e non, appunto, da banchetti della prima Comunione che esaltano chi li costruisce e sminuiscono chi dovrebbe riempirli di belle parole acclarate da firme che al momento, condizionano solo vellicori irriducibili. L’autonomia della regione Molise, sacrosanta anche se appesantita, non è certo a rischio a causa di un comitato dal sapore della diaspora, ma è in pericolo per cause che di certo non ci vedono premiati da chi si arroga il diritto di voler partecipare all’ultima cena a casa di altri, senza essere invitati, sapendo benissimo che la cena non potrà sfamare tutti ma peggiorare la comodità di tutti a causa dell’aumento dei commensali. Mostrerebbe, certamente, la parte peggiore, quella della necessaria inospitalità. Il luculliano è a rischio e nella piena consapevolezza di ciò, invece di riconsiderare modelli di coltivazione, si bruciano i campi per favorire disgregazione, nella convinzione di trar dalla guerra qualche spicciolo per sperare in un gelato al limone che rinsavisca il palato dalla calura.

Si legge che il comitato non vuole dividere il Molise ma porre la provincia di Isernia a essere annessa all’Abruzzo come tale e non come molecola dalla persa incandescenza, a causa della stessa politica che ne promuove l’annessione. Si legge, ancora, che i circa 80.000 molisani che diventerebbero abruzzesi, godranno di grandi benefici e il territorio ne godrà sino a garantire che lo splendido film di Benigni diventi un cult e cancelli l’olocausto per riappropriarsi de “La vita è bella”. Si legge a chiare lettere che chi è favorevole all’annessione è stolto, bravo, affidabile, amorevole e chi invece è contrario è sinteticamente un mero “C” che non ha visione, non vuole uscire da ataviche dinamiche di sudditanza e restare masochista per sé stesso e i suoi compari. La guerra è sinonimo di dittatura, di visioni che garantiscono ulteriormente in bene di pochi a scapito di tanti che nell’abbracciare le armi si vedranno costretti a rincorrere spazi nascosti per non perire sotto i colpi dell’arrembante generale avvezzo al comando. Un comando che vede gerarchicamente ufficiali e sottoufficiali provenienti da legioni straniere dopo l’abiuro dell’esercito ufficiale per rammarichi dovuti a mancate promozioni. Sarà il caso ma troppe le cose che si innescano al fine contemplare la voglia di bello che solo l’arte può garantire se di tutti, per tutti e più semplicemente: se libera e scevra da condizionamenti. Chi mangia in piatti pieni non può e non deve offendere chi dai piatti riesce solo a prodursi una semplice “scarpetta”. Il vero masochismo sta in questo e nella irrazionale posizione di dominio pensante che inardisce le “malerbe” e fa morir.

di Maurizio Varriano

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