Di Simone d'Ilio
Per la rassegna “Le radici del presente: dalla Guerra Fredda alla Guerra al Terrore” le ultime due serate sono state dedicate proprio a una grande problematica che ha caratterizzato lo scenario internazionale di fine XX secolo e inizio XXI, ovvero la guerra contro il terrorismo. Si è affrontata questa tematica con la proiezione di due film che raccontano, in uno stile diverso l’uno dall’altro, le possibili cause scatenanti e gli effetti di questo argomento sulla società globale.
Il primo film, intitolato “Il fondamentalista riluttante” (film del 2012 diretto da Mira Nair, basato sull'omonimo romanzo di Mohsin Hamid) ci proietta nel Pakistan del 2001 e narra la storia di Changez Khan, un professore pakistano dell’Università di Lahore.
Khan accetta un'intervista con il giornalista statunitense Bobby Lincoln, a cui decide di narrare la sua esperienza come giovane professionista dell'ambiente finanziario, reclutato dal capo di una società di consulenza di fama internazionale di New York, che ha riconosciuto le sue notevoli capacità. Nel mondo dell’élite occidentale Changez sembra aver trovato il suo posto. Tutto sembra andare per il verso giusto, fino a quando gli attentati dell'11 settembre 2001 non cambiano radicalmente la situazione. Immaginiamo di essere un pakistano negli Stati Uniti dopo quello storico attentato terroristico.
Il film proiettato l’ultima serata, invece, è stato “Persepolis”, scritto e diretto da Marjane Satrapi, la quale racconta la propria storia personale; il film, infatti, ci porta nelle strade di Teheran, durante la caduta dello scià nel 1978-79. La regista, che narra la storia della sua infanzia nella capitale iraniana pre-rivoluzionaria, ci immerge in un Iran in transizione di regime. Mentre la famiglia di Marjane nutre speranze nella "rivoluzione islamica" di Khomeini, ciò che si rivela è invece un regime autoritario e repressivo, ben più opprimente del precedente regime filo-occidentale. In un clima così opprimente, Marjane, su spinta forte della famiglia, decide di espatriare in occidente, per continuare gli studi a Vienna.
Entrambe le pellicole ci permettono di vedere le contraddizioni culturali sia dell’Occidente sia dell’Oriente, a 360 gradi, facendoci comprendere che sì, vivere nell’est del mondo è obiettivamente più arduo, per via dei contesti sociopolitici molto delicati, ma ci fa percepire anche una società occidentale cieca e superficiale nei confronti del diverso, e un clima di paura, derivato dal terrorismo, che sfocia nella xenofobia, che a sua volta genera ulteriore odio riflesso dall’altra parte.
Protagonista delle serate all’insegna del cinema è stato il Professore di Geopolitica dell’Unimol Luca Muscarà che ha così commentato:
“Questi due film, scelti per rappresentare la “guerra al terrore”, non solo ci aiutano a confrontare la prospettiva occidentale sul terrorismo islamista con quella di persone cresciute in due importanti paesi islamici, facendo giustizia dell’islamofobia, ma ci permettono di comprendere in generale come la xenofobia nasca e si sviluppi proprio come reazione di autodifesa identitaria, sia quando essa sia una reazione alla modernizzazione e all’occidentalizzazione accelerata come nell’Iran 1953-1979, sia quando essa tocchi la maggioranza occidentale che reagisce ai troppi cambiamenti attaccando le minoranze. Cambiano i colori, ma la dinamica della reazione difensiva è la stessa. Così il fondamentalismo non è solo quello dei terroristi, ma anche quello di un Occidente che ha fatto dell’economia e del profitto la propria religione.”
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